“Come spiegare il fatto che d’architettura parlano i soli architetti? Perché il pubblico, quale che sia il ceto sociale e il grado di cultura, discute di tutto, dalla televisione al cinema, dal teatro alla letteratura, dalla musica classica alle canzoni, dallo sport alla cronaca e persino dei vari «ismi» dell’arte contemporanea, mentre ignora completamente l’architettura?
Il primo motivo di questo disinteresse sta in ciò che, a differenza di altri prodotti accessibili quasi a tutti, quello architettonico risulta ancora privilegio di pochi, realizzabile in tempi lunghi e comunque non rispondente alle esigenze quantitative e di gusto del pubblico. Cosicché, l’architettura e le sue varie tipologie – la casa, la scuola, gli ospedali, i centri sociali, ecc. – sono viste nell’ambito della lotta quotidiana delle riforme che si attendono da sempre inutilmente, di quelle operazioni legate al mal governo, alla burocrazia, ai problemi dell’inefficienza, ovvero nel novero di quei fenomeni che la gente sopporta e subisce senza alcuna pertecipazione come alcuni aspetti della politica, il servizio militare, il fisco, il sistema pensionistico e quant’altro ci rende spiacevole la vita. Fino a quando la nostra disciplina dipenderà dai piani regolatori inesistenti o inattuati, da una politica oscillante fra il proibizionismo e l’abosivismo, dalla corruzione amministrativa e dalle tangenti, sarà impossibile guardare all’architettura come ad una cosa «amica» e sopratutto piacevole.”
DE FUSCO, Renato: “L’architettura e la gente”. En: Dentro e fuori l’Architettura. Scritti brevi (1960-1990) Jaca Book. Milano, 1992. pp 98-99.
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